Con l’art. 25-septies del D.lgs. 231/2001 il legislatore ha inteso estendere la responsabilità amministrativa degli enti ai reati di omicidio colposo e lesioni personali gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della sicurezza sul lavoro. Ciò avviene quando:
Sul tema, la Corte di Cassazione, Sez. Penale, con sentenza n. 10143/23, ha stabilito che in caso di infortunio sul lavoro occorso ad un dipendente, la società è condannata per responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/01 anche nell’ipotesi in cui le persone fisiche inizialmente imputate per i reati di lesioni personali colpose e l’autore del reato non risultano identificate.
Tuttavia, la responsabilità dell’ente può essere esclusa o limitata. Ciò può avvenire in primis adottando il Modello di organizzazione e gestione ai sensi del D.lgs. n. 231/2001. Adottato il Modello, deve essere assicurata l’applicazione concreta di tutte le misure in esso previste, il suo mantenimento nel tempo ed il continuo adeguamento dello stesso.
Il D.Lgs. n. 231/2001 (il “Decreto”) ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento una specifica forma di responsabilità amministrativa a carico delle società. Nello specifico le società sono responsabili di determinati reati (cd. reati – presupposto) commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da soggetti apicali o da soggetti ad essi subordinati. E questa responsabilità si traduce nell’assoggettamento delle società a due tipi di sanzioni: pecuniarie o interdittive. Una forma specifica di esonero da detta responsabilità è l’adozione e l’attuazione di un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione dei reati previsti dal Decreto.
L’articolo 6 del Decreto prevede una particolare forma di esonero dalla responsabilità amministrativa qualora l’Ente dimostri di aver adottato ed efficacemente attuato attraverso il suo organo dirigente, prima della commissione del fatto, un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (il “MOG”) idoneo a prevenire i reati presupposto individuati dal Decreto stesso. Il MOG reca i protocolli e le procedure organizzative implementati dall’Ente con lo scopo proprio di prevenire la commissione dei predetti reati da parte di un soggetto apicale o di un suo sottoposto.
La predisposizione di un MOG deve prevedere diverse e precise fasi propedeutiche alla sua costruzione. È inizialmente necessario individuare e valutare le “aree di rischio 231” ossia mappare le attività sensibili presenti all’interno dell’organizzazione di riferimento che potrebbero comportare la commissione di una o più fattispecie di reato previste dal Decreto nonché i relativi meccanismi di controllo attuati dall’Ente. Successivamente, è necessario individuare, per ciascuna delle aree indentificate, le opportunità di miglioramento attraverso una Gap Analysis e definendo contestualmente un piano di “remediation” (c.d. action plan). Solo al termine di ciò è possibile predisporre un MOG articolato in tutte le sue componenti (parte generale, parte speciale e allegati) definendo un successivo piano di monitoraggio, controllo e aggiornamento dello stesso.
L’OdV è, ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001, un organismo dell’Ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, che deve presentare caratteristiche quali l’indipendenza, l’autonomia, la professionalità e la continuità di azione, riflettendo, in tal modo, la volontà dell’Ente medesimo di creare una organizzazione che impedisca, per quanto possibile, la commissione di reati. Tra i compiti assegnati all’ODV, rientrano: (i) la vigilanza sull’effettività del MOG, espressa attraverso la coerenza tra i comportamenti concreti e il MOG adottato; (ii) il monitoraggio circa il mantenimento nel tempo dei requisiti di solidità e funzionalità del MOG istituito; (iii) la gestione costante degli aggiornamenti del MOG attraverso correzioni e adeguamenti dello stesso. Sulla base delle specifiche esigenze dell’organizzazione, l’ODV potrà essere strutturato in forma monocratica o collegiale nonché composto da soggetti interni o esterni all’organizzazione che lo individua. In ogni caso, i suoi componenti devono possedere idonee competenze professionali oltre ad un’approfondita conoscenza della struttura organizzativa dell’ente, del Modello adottato e di tutte le parti speciali che lo caratterizzano.
Gli articoli dal 9 al 23 del Decreto indicano le sanzioni che possono essere applicate all’Ente in conseguenza della commissione o tentata commissione, nell’interesse o a vantaggio dello stesso, dei reati presupposti. Nello specifico le sanzioni si dividono in (i) sanzioni pecuniarie e (ii) sanzioni interdittive. Le sanzioni pecuniarie vengono applicate per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille e l’importo di una quota va da un minimo di euro 258 ad un massimo di euro 1.549. Il combinato disposto di questi due requisiti comporta una sanzione che può andare da un minimo di euro 25.800 ad un massimo di euro 1.549.000. L’autorità giudiziaria determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto; del grado di responsabilità dell’Ente e dell’attività dallo stesso svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di illeciti ulteriori. Le sanzioni interdittive (quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, delle licenze o delle concessioni; il divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione; l’esclusione o la revoca di finanziamenti e contributi o il divieto di pubblicizzare beni o servizi) sono invece applicate quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
Le sanzioni interdittive hanno una durata non inferiore a 3 mesi e non superiore a 2 anni.
Alle sanzioni pecuniarie e interdittive si aggiungono la confisca dei beni oggetto di reato e la pubblicazione della sentenza di condanna.